La rivoluzione borghese del pianoforte

“…Si può comprendere la portata della straordinaria rivoluzione intrapresa da Mozart e continuata da Beethoven nella storia del pianoforte, ricordando che nella seconda metà del XVIII secolo tale strumento, pur essendo coltivato da un buon numero di virtuosi, si era rapidamente imposto sul mercato europeo in virtù del successo riscosso presso gli amateurs. Ciò significa che un concerto per pianoforte e orchestra, un trio con pianoforte o una sonata per pianoforte e violino erano considerati lavori “leggeri” e di minor importanza rispetto a una sinfonia o a un quartetto, destinati per lo più a esecutori professionisti e a un pubblico d'”intenditori”. Ma questo significa pure che il pianoforte era lo strumento del futuro, diffuso presso i ceti borghesi in ascesa economica e sociale, destinato a rimpiazzare e a relegare tra i ricordi dell’ancient régime il clavicembalo e l’arpa dei salotti patrizi. Lo compresero benissimo, prima ancora dei compositori, gli editori di musica, che negli ultimi decenni del Settecento incominciano a tempestare i musicisti con richieste di sonate facili per pianoforte con accompagnamento ad libitum di violino, rondò, pezzi a quattro mani e altri lavori di sicuro successo commerciale, anche se di livello artistico non sempre eccelso.

Haydn poté fronteggiare a cuor tranquillo questa rivoluzione borghese che stava avvenendo in seno alla civiltà musicale del suo secolo, grazie prima alla sua livrea di maestro di cappella del principe Esterhàzy, poi alla sua posizione privilegiata di patriarca della musica viennese, che lo rese libero di creare fino all’ultimo musiche “difficili” ed elette. Ma i musicisti “indipendenti” non poterono non entrare nel circuito dei nuovi rapporti stabilitisi tra creatività individuale, organizzazione e fruizione concertistica, editoria e richiesta di mercato, e non trarne nuovi impulsi o condizionamenti.”

tratto da “Beethoven” di Giovanni Carli Ballola

La dimensione introversa dei Quartetti di Šostakovič

I Quartetti di Šostakovič, quindici come le Sinfonie, costituiscono un nucleo compositivo a sé. L’autore vi si dedicò solo a partire dal 1938, dopo che aveva già scritto le due opere e le prime cinque sinfonie. Ma la predilezione per il genere quartettistico si accentua in tarda età: ne scrisse sette negli ultimi undici anni. Viene spontaneo rilevare quanto questo “amore senile” per il quartetto ricordi quello di Beethoven.

Si potrebbe pensare che, mentre nella sinfonia Šostakovič si concede anche effetti appariscenti, nella musica da camera ricerchi invece un’espressione introversa, senza concessioni alla platea. In realtà tanto la musica sinfonica quanto quella cameristica hanno nel musicista le stesse connotazioni formali ed espressive. A proposito del supposto rapporto privilegiato della musica da camera con la sua sfera intima, il musicista ha dichiarato a un giornalista del “Times”, nel corso di un’intervista pubblicata il 18 luglio 1972: “Io non distinguo fra esse in quel modo, né trovo che il pubblico reagisca diversamente [alla musica da camera]. Infatti, da noi i quartetti si eseguono non meno spesso delle sinfonie, e sembra che la gente venga ad ascoltarli”.

tratto da “ŠOSTAKOVIČ” di Franco Pulcini

 

Debussy

 

Ho assistito allo schiudersi della sua creatività. Il suo Quatuor, le Chansons de Bilitis, Pelléas et Mélisande nacquero per così dire, davanti ai miei occhi, e non potrò mai dimenticare l’emozione che mi ha procurato questa musica; ne assaporavo, deliziato, la «nebulosità», così nuova e preziosa a quel tempo. E gli splendidi Pezzi per pianoforte acquisivano, sotto le sue dita, un’aura fiabesca, si illanguidivano e mormoravano con tenera malinconia.

tratto da “Quaderni di un mammifero” di Erik Satie

Quartetto K 499

Il K 499, l’unico Quartetto di Mozart che non appartiene ad alcun ciclo (e forse per questa ragione meno conosciuto dei compagni), fu composto nell’agosto 1786, a un anno di distanza dall’ultimo Quartetto dedicato a Joseph Haydn (K 465 “Delle Dissonanze”); esso deve il sottotitolo al nome dell’editore viennese Hoffmeister che lo commissionò a Mozart già pensando alla pubblicazione.

E’ diviso in quattro tempi: Allegretto, Menuetto, Adagio, Molto Allegro.

 

Brahms: Quartetto op.51 n.1 in Do minore

Allegro

Romanza – Poco Adagio

Allegro molto moderato e comodo – Un poco più animato

Allegro

La critica prende atto che con il Trio Op.40 si era conclusa la «giovinezza artistica» di Brahms: un nuovo mondo, in quanto a contenuti e linguaggio, era in effetti alle porte. Osserva Mila: «Non soltanto un velo di raccoglimento cala sopra l’irruenza del compositore di fronte alla materia musicale. Si manifesta in lui una spinta poderosa verso la concentrazione: la smisurata e divagante lunghezza di composizioni come i due primi Quartetti per archi e pianoforte Op.25 e Op.26, viene deliberatamente arginata». Austerità, concentrazione, severità, sono dunque i nuovi segnali dell’Op.51.

tratto da “Brahms. Signori, il catalogo è questo!” di A. Poggi E.Vallora

Mozart a Lodi: il Quartetto K80

Si sa da una lettera di quei giorni che il Quartetto è stato composto «di sera, in un albergo a Lodi». Quale postscriptum sulla busta, Mozart annota, da clown quale sa essere, i vocalizzi «sovracuti» del famoso castrato La Bastardella, conosciuto proprio in quei giorni.

tratto da “Mozart, Signori il catalogo è questo!” di A. Poggi e E. Vallora

Brahms e l’eredità dei quartetti di Beethoven

La notizia della nascita dei due Quartetti Op.51 si trova per la prima volta nel diario di Clara: un appunto del luglio 1866 informa che Brahms le aveva sottoposto in anteprima alcune parti del «Requiem tedesco» («magnifiche», a suo giudizio) e qualche pagina di un Quartetto in Do minore. Da allora Brahms continuò a lavorarvi saltuariamente e ritenne il lavoro concluso dopo l’estate 1873, trascorsa a Tutzing; in effetti, durante il breve soggiorno a Lichtental che ne seguì, li fece ascoltare a Clara nella loro stesura definitiva (insieme alle «Variazioni su un tema di Haydn»).

Questa, del settembre 1873, è dunque la data conclusiva dell’Op.51. Brahms presentò i Quartetti all’editore con la solita ritrosia ed autocommiserazione: «Avrei voluto scrivere due grandi opere, – confidò in quest’occasione, – ed ecco invece i miei modesti risultati».

Ancora una volta si ha modo di conoscere una classica «coppia» brahmsiana: due lavori intrecciati nel loro concepimento, uniti da tonalità simili (tonalità minori nei due casi), diversi nell’aspetto esteriore ma complementari nella loro natura e nell’umore. Austero, teso, drammatico il primo (nell’inevitabile paragone con Beethoven, molti lo avvicinano ai «Quartetti Razumowsky»); introverso, ricco di chiaroscuri e di inquietudini, più «romantico», morbido e cangiante il secondo. Nell’Op.51 n.1 l’eredità di Beethoven si avverte nella forza, nella determinazione, nella risolutezza; nel secondo l’autore sembra aver superato tali condizionamenti lasciando spazio alla tenerezza, ai languori nostalgici, a certi slanci ritmici che richiamano uno spirito popolare.

tratto da “Brahms. Signori, il catalogo è questo!” di A. Poggi E.Vallora

Le influenze nel Quartetto K80 di Mozart

«…per quanto il genere del quartetto fosse largamente coltivato in Germania, lo stimolo alla creazione venne a Mozart piuttosto da parte degli italiani, come Sammartini, Tartini e Boccherini»

Albert

 

«Si tratta già di un vero e proprio Quartetto, benché la condotta delle voci accompagnanti sembri additare indietro, al “divertimento”. In breve: un’opera interessante, fra lo stile di Salisburgo e quello di Milano; non ancora Sammartini ma non più Michael Haydn»

Paumgartner

tratto da “Mozart, Signori il catalogo è questo!” di A. Poggi ed E. Vallora

 

Brahms e il quartetto

È singolare, anche se psicologicamente comprensibile, che Brahms – autore di due Sestetti, di due Quartetti con pianoforte e di un Quintetto con pianoforte – abbia rimandato per vent’anni la creazione di un Quartetto per archi: colpa di un’eredità impegnativa («Non potete immaginare cosa si provi a sentire i passi di un gigante come Beethoven dietro le proprie spalle») e di una formula musicale, quella del quartetto d’archi, da sempre ritenuta la più difficile ed aristocratica: d’altronde Brahms era ben consapevole che anche Beethoven fosse giunto all’età di trent’anni prima di aver osato affrontare, con l’Op.18, il «fantasma» del quartetto. Si ha notizia di un’opera giovanile (ascoltata perfino da Schumann) che fu distrutta dall’autore, insoddisfatto e poco convinto; dopo questo esperimento degli anni ‘50, si contano soltanto progetti, abbozzi e rimaneggiamenti: decine di tentativi travolti da dubbi e insicurezza. Per anni le difficoltà – oggettive e psicologiche – ebbero il sopravvento sulla volontà creativa; e questo nonostante le continue richieste dell’editore Simrock, gli affettuosi consigli dell’amico Joachim e l’incoraggiamento di Clara Schumann: vent’anni di attese, di impegno e di ripensamenti.

tratto da “Brahms. Signori, il catalogo è questo!” di A. Poggi E.Vallora

Mendelssohn ascolta i quartetti di Schumann

Ottobre 1842

Del mese di settembre voglio ancora annotare che il 29 David ha suonato i miei Quartetti a Mendelssohn, che passava di qui al ritorno dal suo viaggio in Svizzera. C’erano soltanto Hauptmann, che ora è Kantor alla Thomasschule, e Verhulst: un pubblico ristretto ma buono, che è parso impressionato favorevolmente dalla musica. Più tardi, prima di andar via, Mendelssohn mi ha detto che non trova le parole per dire quanto gli piace la mia musica. La cosa mi ha fatto molto piacere, perchè considero Mendelssohn il miglior critico: ha una lucidità che nessun altro musicista vivente possiede.

tratto da “Casa Schumann, Diari 1841-1844″

di Robert Schumann e Clara Wieck