Brahms e l’eredità dei quartetti di Beethoven

La notizia della nascita dei due Quartetti Op.51 si trova per la prima volta nel diario di Clara: un appunto del luglio 1866 informa che Brahms le aveva sottoposto in anteprima alcune parti del «Requiem tedesco» («magnifiche», a suo giudizio) e qualche pagina di un Quartetto in Do minore. Da allora Brahms continuò a lavorarvi saltuariamente e ritenne il lavoro concluso dopo l’estate 1873, trascorsa a Tutzing; in effetti, durante il breve soggiorno a Lichtental che ne seguì, li fece ascoltare a Clara nella loro stesura definitiva (insieme alle «Variazioni su un tema di Haydn»).

Questa, del settembre 1873, è dunque la data conclusiva dell’Op.51. Brahms presentò i Quartetti all’editore con la solita ritrosia ed autocommiserazione: «Avrei voluto scrivere due grandi opere, – confidò in quest’occasione, – ed ecco invece i miei modesti risultati».

Ancora una volta si ha modo di conoscere una classica «coppia» brahmsiana: due lavori intrecciati nel loro concepimento, uniti da tonalità simili (tonalità minori nei due casi), diversi nell’aspetto esteriore ma complementari nella loro natura e nell’umore. Austero, teso, drammatico il primo (nell’inevitabile paragone con Beethoven, molti lo avvicinano ai «Quartetti Razumowsky»); introverso, ricco di chiaroscuri e di inquietudini, più «romantico», morbido e cangiante il secondo. Nell’Op.51 n.1 l’eredità di Beethoven si avverte nella forza, nella determinazione, nella risolutezza; nel secondo l’autore sembra aver superato tali condizionamenti lasciando spazio alla tenerezza, ai languori nostalgici, a certi slanci ritmici che richiamano uno spirito popolare.

tratto da “Brahms. Signori, il catalogo è questo!” di A. Poggi E.Vallora

Brahms e il quartetto

È singolare, anche se psicologicamente comprensibile, che Brahms – autore di due Sestetti, di due Quartetti con pianoforte e di un Quintetto con pianoforte – abbia rimandato per vent’anni la creazione di un Quartetto per archi: colpa di un’eredità impegnativa («Non potete immaginare cosa si provi a sentire i passi di un gigante come Beethoven dietro le proprie spalle») e di una formula musicale, quella del quartetto d’archi, da sempre ritenuta la più difficile ed aristocratica: d’altronde Brahms era ben consapevole che anche Beethoven fosse giunto all’età di trent’anni prima di aver osato affrontare, con l’Op.18, il «fantasma» del quartetto. Si ha notizia di un’opera giovanile (ascoltata perfino da Schumann) che fu distrutta dall’autore, insoddisfatto e poco convinto; dopo questo esperimento degli anni ‘50, si contano soltanto progetti, abbozzi e rimaneggiamenti: decine di tentativi travolti da dubbi e insicurezza. Per anni le difficoltà – oggettive e psicologiche – ebbero il sopravvento sulla volontà creativa; e questo nonostante le continue richieste dell’editore Simrock, gli affettuosi consigli dell’amico Joachim e l’incoraggiamento di Clara Schumann: vent’anni di attese, di impegno e di ripensamenti.

tratto da “Brahms. Signori, il catalogo è questo!” di A. Poggi E.Vallora