La rivoluzione borghese del pianoforte

“…Si può comprendere la portata della straordinaria rivoluzione intrapresa da Mozart e continuata da Beethoven nella storia del pianoforte, ricordando che nella seconda metà del XVIII secolo tale strumento, pur essendo coltivato da un buon numero di virtuosi, si era rapidamente imposto sul mercato europeo in virtù del successo riscosso presso gli amateurs. Ciò significa che un concerto per pianoforte e orchestra, un trio con pianoforte o una sonata per pianoforte e violino erano considerati lavori “leggeri” e di minor importanza rispetto a una sinfonia o a un quartetto, destinati per lo più a esecutori professionisti e a un pubblico d'”intenditori”. Ma questo significa pure che il pianoforte era lo strumento del futuro, diffuso presso i ceti borghesi in ascesa economica e sociale, destinato a rimpiazzare e a relegare tra i ricordi dell’ancient régime il clavicembalo e l’arpa dei salotti patrizi. Lo compresero benissimo, prima ancora dei compositori, gli editori di musica, che negli ultimi decenni del Settecento incominciano a tempestare i musicisti con richieste di sonate facili per pianoforte con accompagnamento ad libitum di violino, rondò, pezzi a quattro mani e altri lavori di sicuro successo commerciale, anche se di livello artistico non sempre eccelso.

Haydn poté fronteggiare a cuor tranquillo questa rivoluzione borghese che stava avvenendo in seno alla civiltà musicale del suo secolo, grazie prima alla sua livrea di maestro di cappella del principe Esterhàzy, poi alla sua posizione privilegiata di patriarca della musica viennese, che lo rese libero di creare fino all’ultimo musiche “difficili” ed elette. Ma i musicisti “indipendenti” non poterono non entrare nel circuito dei nuovi rapporti stabilitisi tra creatività individuale, organizzazione e fruizione concertistica, editoria e richiesta di mercato, e non trarne nuovi impulsi o condizionamenti.”

tratto da “Beethoven” di Giovanni Carli Ballola